Con i nostri progetti affrontiamo discipline ed ambiti eterogenei. E quando lavoriamo sul patrimonio culturale, ci imbattiamo spesso in una domanda: perché conoscere il patrimonio culturale? A cosa serve la storia dell’arte?
La società sembrerebbe vivere un momento di disaffezione verso la storia dell’arte e in genere verso la storia. Per riavvicinare la storia dell’arte e la comunità abbiamo forse bisogno di immaginare quali elementi della storia dell’arte riescono ad intercettare le necessità del mondo d’oggi. Proviamo a formulare proposte e risposte, costruendo e decostruendo, evitando la tentazione di riattualizzazioni forzate. Vogliamo contribuire a costruire un ruolo nella società che non cada nella semplice ricerca di identità territoriali più o meno esistenti.
Con i nostri progetti vogliamo sviluppare una vera a propria storia dell’arte militante. Che dialoghi in maniera significativa con il territorio e le comunità. Il rapporto tra storia dell’arte e impegno civico è spesso manifestato nell’ambito della fruizione democratica dei luoghi. Si vedano ad esempio i testi e le azioni di studiosi come Montanari o Settis. Pratiche sentite e necessarie, ma che non esprimono tutto il potenziale della storia dell’arte.
Con gli strumenti della storia dell’arte si possono analizzare e proporre alla cittadinanza nuovi concetti di identità, partecipazione e comunicazione nella società contemporanea. Affiancando a questi strumenti quelli tipici dell’inclusione universale, del digitale e dell’imprenditività per amplificare le proprie pratiche ed arrivare a tutti.
Gli elementi fondativi
Il valore civile della storia e della storia dell’arte
La storia è forse la più valida chiave di lettura per studiare e narrare la società contemporanea. La storia definisce la società, il territorio, la sua cultura e la sua economia, e la storia dell’arte è la dimensione più accessibile e inclusiva della storia.
I luoghi che la storia dell’arte identifica come patrimonio culturale sono spazi pubblici a cui assegnare un ruolo importante nello sviluppo della coesione sociale e nella costruzione della cittadinanza.
Come successo per alcuni musei a partire dagli anni ‘60, i nodi del patrimonio culturale possono comportarsi come catalizzatori per la rigenerazione sociale se vissuti attivamente dai cittadini. Il patrimonio culturale deve sviluppare la capacità di esercitare maggiore controllo sulla qualità della vita della comunità e sullo sviluppo dei territori.
Perché usare il patrimonio culturale come agente catalitico della rigenerazione e non altri luoghi pubblici e a-storici? Con il patrimonio culturale è possibile investigare, amplificare, criticare, abbattere, innovare il concetto di identità territoriale. Non crediamo ad un forte rapporto tra patrimonio culturale e identità nazionale, e la stessa storia dell’arte dà forza a questa posizione. Ma non vogliamo nemmeno derubricare come fantomatico il legame tra patrimonio e identità. Lavorando in ambito educativo, è necessario applicare fino in fondo gli insegnamenti di Dewey, cioè offrire agli studenti un pensiero completamente aperto e critico.
Al patrimonio culturale, con simboli e significati conservati e decifrati attraverso la storia dell’arte, può essere assegnato lo stesso ruolo che nella storia hanno avuto la mitologia e i racconti: essere struttura su cui costruire un’alfabetizzazione emotiva delle persone. Per abitare il mondo contemporaneo e svilupparsi come cittadini completi, restando umani.
Il ruolo della storia dell’arte, che non è solo disciplinare e accademico, ma sociale e civile. (…) Deve rispondere alle sfide del nostro tempo (…), rendere più intelligibile il nostro tempo, educando lo sguardo dei cittadini, dalla scuola all’età adulta. Oggi più di ieri, la strada per un’educazione alla cultura richiede di far comprendere la costruzione di un’immagine, cogliere i suoi risvolti sociali, capire che l’immagine non è la realtà ma la costruzione di un discorso.
Salvatore Settis
Patrimonio culturale, qualità della vita e turismo locale
L’esistenza di un rapporto tra patrimonio culturale e turismo è evidente. Le attrattive storico-culturali italiane risultano essere il primo fattore del flusso turistico proveniente dall’estero. In Italia il turismo culturale ha generato 21 miliardi di euro di introiti nel 2018, pari al 66% del settore turistico generale, con un paniere di consumo superiore e differenziato rispetto al turismo generico (dati UNIVE).
Assodato che il patrimonio culturale è un volano per l’economia turistica, la storia dell’arte può e deve guidare i processi di progettazione turistica. Deve evitare la banalizzazione e trasformazione del patrimonio culturale in parco tematico o in “città-vetrina”, che nella messa in scena di se stessa deperisce il territorio. Un turismo guidato dalla storia dell’arte può seguire la caratteristica capillarizzazione del patrimonio culturale mediterraneo, che ben si presta a logiche di turismo diffuso, destagionalizzato e quindi de-precarizzato.
La storia dell’arte può aiutare a costruire una fruizione lenta e ragionata, che eviti quel binge-watching del patrimonio culturale tipico delle grandi città d’arte. Un turismo locale deve anche ragionare sull’impatto climatico, considerando che l’8% del totale delle emissioni annue di gas serra provengono da attività correlate al turismo.
Il secolare cammino che ha liberato l’arte da qualunque funzione e qualunque contenuto ha avuto un prezzo. Quel prezzo è stato la riduzione dell’arte a una dimensione meramente soggettiva, il che – ha scritto Edgar Wind – «non fa perdere all’arte la sua qualità di arte, ma le fa perdere il suo legame diretto con la nostra esistenza: l’arte diventa una splendida superfluità» .
Tomaso Montanari
Dialogo interculturale
La storia dell’arte è stata usata per l’elaborazione di identità nazionale o come espressione del soft power di una nazione. Tuttavia il patrimonio culturale mediterraneo parla di dialogo tra culture che sono radicate in territori e trasversali a singole nazioni.
Va ancora esplorato ed espresso appieno il ruolo del patrimonio culturale nel costruire delle società più inclusive, considerando che la società multiculturale porrà la sfida di abitare un futuro a coloro che non ne hanno condiviso il passato.
Il patrimonio storico-artistico può avvicinare e valorizzare le diversità culturali. Può e deve creare quegli spazi di incontro e dialogo che l’antropologo James Clifford chiama zone di contatto, finalizzati alla costruzione di nuovi rapporti basati sull’apprezzamento reciproco.
Si corre il rischio di rimettere in circuito (…) l’idea della comunità politica come sistema di differenze: «noi» siamo «noi» e siamo uniti, perché contrapposti a «quegli altri», gli stranieri, che sono diversi da noi, e per questo sono pericolosi per l’integrità della nostra comunità. Ciascuna di queste idee (…) può indurre a pensare che difendere l’identità italiana implichi difendersi dagli «altri», che – in quanto diversi – sono anche pericolosi; può indurre a fantasticare di una speciale peculiarità, se non di una superiorità, della cultura italiana.
Alberto Mario Banti
Storia dell’arte e storia della comunicazione
L’arte nasce per l’esigenza di comunicare e attraverso l’arte vengono scambiate e storicizzate informazioni e valori. Il potere ha sempre trovato nell’arte un valido mezzo di propaganda. Ad esempio, nell’antica Roma la statuaria doveva riflettere e comunicare alle masse le caratteristiche psicologiche e il pensiero politico di homines novi e imperatori. Nel medioevo, l’architettura e la pittura nei luoghi di culto erano strumenti a supporto della pedagogia cattolica e della manifestazione di potere delle istituzioni del Cristianesimo. La stessa storia dell’arte, come le altre discipline storiche, è stata influenzata dai canoni del tempo.
Lo studio del patrimonio culturale è pertanto una solida base per lo sviluppo di competenze nella comunicazione non verbale. Queste competenze non riguardano solo i professionisti che si occupano di comunicazione visiva. Sono competenze chiave per un cittadino digitale del XXI secolo che vive come consumatore e produttore di contenuti visivi.
Patrimonio del passato per guardare al futuro
Georges Canguilhem ci ricorda che il passato della cultura ha come funzione reale di preparare un avvenire della cultura. Il patrimonio culturale è intrinsecamente aperto alla propria lettura. L’interpretazione non è univoca e frontale, ma è aperta e dinamica. Essa sfida creativi e studenti a immaginare nuove forme di arte e di espressione. Nuove forme di contatto tra opera e pubblico nel monumento, sviluppando nuovi punti di vista per esperire l’arte. Contro la “fine della storia”.
Immaginare il patrimonio del futuro permette di uscire dalla gabbia “patrimonio-identità” ed evitare la banale monumentalizzazione del patrimonio, che depotenzia la carica creativa e sociale di un’opera d’arte. Permette di concentrarsi sullo sviluppo del pensiero creativo. Guardare al patrimonio in maniera proattiva vuol dire farlo nel nome della sua rielaborazione: stimolare la creatività puntando su alcuni paradigmi contemporanei come il remix, il making, l’hacking e il riuso. Tenendo conto della frammentazione del patrimonio culturale italiano, questo aspetto può svilupparsi nella creazione di avamposti di creatività diffusa. Inoltre la creatività può essere espressa anche tramite tecnologie digitali, che danno la possibilità di attuare una “stratificazione virtuale” che non impatta sulla conservazione fisica del bene. Guardare al futuro in maniera significativa non significa cancellare il passato. A differenza delle singole opere d’arte, il patrimonio culturale, con la sua stratificazione temporale, permette una speculazione artistica basata su intuizioni storiche che seguano paradigmi di longue durée rispetto all’analisi dei singoli eventi storici.
Il passato è modificato dal presente quanto il presente è condizionato dal passato.
Thomas Stearns Eliot
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Se fossi un antiquario, non avrei occhi che per le cose vecchie. Ma io sono uno storico. È per questo che amo la vita”
Henri Pirenne